2021


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Le fotografie

– L’organo barocco del Ravani.

– Il canto dei Cialdonai.

– Un ritratto poco conosciuto di Lorenzo il Magnifico.

– L’organo di Domenico di Lorenzo.


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«Due "Idioti" sapienti (in letteratura e in teologia)»


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ORGANI E «CIALDONI»
alla SS. Annunziata di Firenze


Cortesemente inviato da Paolo Piccardi.

Per secoli le funzioni religiose della basilica-santuario fiorentino della SS. Annunziata sono state accompagnate dalle sonorità dei due organi monumentali che si fronteggiano sulle pareti laterali della chiesa.
Quello di destra venne costruito da Domenico di Lorenzo di Lucca nel 1521 ed è tuttora funzionante, grazie al mecenatismo della Banca Toscana, che ne finanziò il restauro nel 1992, affidandone la prima esecuzione al celebre Gustav Leonhardt. Questo organo è l’unico ancora funzionante di Domenico di Lorenzo, uno dei più antichi d’Italia ed è reputato il miglior esempio di organo rinascimentale.
L’organo collocato sulla parete di sinistra invece fu inaugurato il 12 aprile 1629 con la partecipazione di quattro cori su due palchi, montati appositamente sotto i due organi. Per la sua costruzione vennero incaricati Domenico e Andrea Ravani di Lucca, due fratelli che avevano saputo far rinascere l’arte organaria lucchese, decaduta dopo la morte di Domenico di Lorenzo. Purtroppo questo organo ha subito gli insulti del tempo e non è funzionante, necessitando di un costoso restauro.
Occorrerà del tempo, ma prima o poi il Comune di Firenze, proprietario della chiesa e del suo contenuto, farà iniziare i lavori di ripristino, e i restauratori troveranno, celati da secoli di polvere e di fumo delle candele, due sorprese. La prima sarà un grosso rotolo di tela: si tratta del grande telone che copriva le canne dell’organo e che venne dipinto da un famoso pittore del ‘600, il cui nome non è il caso di svelare per non rovinare la sorpresa.
Proseguendo nel restauro, tornerà alla luce anche la seguente scritta: EX HAEREDITATE, ET TESTAMENTO DOMINICI LAURENTIJ PETRI DE ROVEZZANO PATRIS M.RI DIONISIJ FLORENTINI SERVITA, che ci ricorda come questo organo venne costruito grazie al lascito testamentario di un personaggio la cui memoria si è persa nel buio dei secoli; ma fortunatamente i registri del convento ci consentono di ricostruirne la vita e le molte opere di carità a favore ella SS. Annunziata.

Domenico di Lorenzo di Pietro Bucherelli nacque a Rovezzano ai primi del ‘500 e visse quasi cento anni, morendo a Firenze il 27 marzo del 1608. Sposò Caterina ed ebbe un figlio di nome Dionisio. Intraprese il mestiere di cialdonaio, con bottega posta all’angolo fra piazza del Duomo e la via Calzaioli (l’attuale palazzo della Misericordia), andando ad abitare lì vicino, nel popolo di San Cristofano, in piazza della Malvagia, adesso detta vicolo degli Adimari, dove c’è l’autorimessa della Misericordia.

Il Bucherelli non era l’unico specializzato nella produzione di cialdoni, tanto che quell’angolo veniva chiamato “Canto dei cialdonai”. Gli affari andarono benissimo, essendo i fiorentini molto ghiotti di quella specialità, che fu anche oggetto di un canto carnascialesco di Lorenzo il Magnifico, nel quale si descrive come venivano fatti:

Giovani siam maestri molto buoni,
Donne, com’udirete, a far cialdoni.
In questo Carnascial siamo sviati
Dalle botteghe, anzi fummo cacciati:
Non eran prima fatti, che mangiati
Da noi, che ghiotti siam, tutti i cialdoni.
Cerchiamo avviamento, donne, tale
Che ci spassiamo in questo Carnasciale;
E senza noi inver si può far male,
E insegnerenvi come si fan buoni.
Metti nel vaso acqua, e farina drento
Quanta ve n’entra, e mena a compimento;
Quando hai menato, ei vien come un unguento,
Acqua che propio par di maccheroni.
Chi non vuole al menar presto esser stanco,
Meni col dritto e non col braccio manco;
Poi vi si getta quel ch’è dolce, e bianco
Zucchero, e fa il menar non abbandoni.
Conviene in quel menar che cura s’aggia,
Per menar forte, che di fuor non caggia;
Fatto l’ intriso, poi col dito assaggia,
Se ti par buon, le forme al fuoco poni.
Scaldale bene, e se la forma è nuova,
Il fare adagio, e ugner molto giova,
E mettivene poco prima, e prova
Come riesce, e se gli getta buoni.
Ma se la forma sia usata e vecchia,
Quanto tu vuoi per metter n’apparecchia,
Perchè ne può ricevere una secchia:
E da Bologna i romaiuol son buoni.
Quando lo ’ntriso nelle forme metti,
E senti frigger, tieni i ferri stretti,
Mena le forme, e scuoti, acciò s’ assetti,
Volgi sossopra; e fien ben cotti, e buoni.
Il troppo intriso fuori spesso avanza,
Esce pei fessi, ma questo è usanza;
Quando e ti par che sia fatto abbastanza,
Apri le forme, e cavane i cialdoni.
Nello star troppo scema, e non già cresce,
Se son ben unte, da se quasi n’esce:
E ’l ripiegarlo allor facil riesce
Caldo; e ’n un panno bianco lo riponi.
Piglia le grattapugie, o un pannuccio
Ruvido, e netta bene ogni cantuccio:
La forma è quasi una bocca di luccio,
Tien ne’ fessi lo ’ntriso, che vi poni.
Esser vuole il cialdone un terzo, o piue,
Grosso a ragione, aver le parti sue;
Ed a fargli esser vogliono almen due
L’un tenga, e l’altro metta, e fansi buoni.
Se son ben cotti, coloriti e rossi,
Son belli, e quant’un vuol mangiarne puossi,
Perchè se paion ben vegnenti, e grossi,
Stringendo, e son pur piccoli bocconi.

Il Cialdonaio era particolarmente devoto della SS. Annunziata, nel cui convento era entrato il figlio Dionisio, divenuto apprezzato docente di teologia e destinato a ricoprire alte cariche nell’Ordine dei Serviti.
Frequentando la SS. Annunziata, sia per devozione che per la presenza del figlio, il Cialdonaio si rese conto delle precarie finanze del convento, il cui camarlingo doveva registrare costantemente una perdita ogni volta che chiudeva il bilancio mensile. Decise quindi di intervenire frequentemente con la fortuna che aveva accumulato nella sua lunga vita, fornendo le somme necessarie ai frati non solo per sopperire alle spese correnti, ma anche per effettuare operazioni finanziarie e acquisizioni di terreni, particolarmente concentrati nelle zone di Figline Valdarno, Piandiscò, Pulicciano e Piantravigne.
I contratti relativi ci riportano anche i cognomi dei soggetti intervenuti: Mariano Margiacchi, mugnaio di Faella, Batignani di Piandiscò, Caccerini e Sassolini di Pulicciano, tutti cognomi ancora presenti sul territorio.
Era affascinato dalle esecuzioni della prestigiosa cappella musicale della SS. Annunziata, tanto da assegnare un vitalizio al maestro di cappella fra Mauro Matti, il prosecutore della tradizione apportata fin dal 1439 dai madrigalisti fiamminghi, capitanati da Heinrich Isaak, il compositore che fu docente di musica anche dei figli di Lorenzo il Magnifico e alla cui morte compose il toccante “Lamento funebre”.
Per questo il 22 gennaio 1604 il Cialdonaio fece stilare dal notaio Camillo Ciai il suo primo testamento, nominando erede universale il figlio Dionisio e stabilendo che alla di lui morte tutti i beni sarebbero passati ai frati della SS. Annunziata. Se questi avessero rinunciato all’eredità, indicò come beneficiario lo Spedale degli Innocenti. Il testamento, di insolita lunghezza, specifica puntigliosamente tutti gli obblighi ai quali erano tenuti gli eredi, stabilendo in primo luogo che i denari contanti non avrebbero dovuto essere spesi, ma impiegati in investimenti “cauti e sicuri” e che l’intero capitale, costituito da beni mobili e immobili, non avrebbe dovuto essere intaccato, destinandone i soli frutti al soddisfacimento delle clausole testamentarie.
Dei frutti maturati, in primo luogo ordinò, et volse, che si spendino principalmente in fare un organo grande nella detta chiesa della Nunziata dirimpetto all’organo grande vecchio et dello stesso tuono, tutto a honore di Dio, et per maggior grandezza et honore di detta chiesa, ordinando inoltre che venisse assegnato uno stipendio supplementare di 25 scudi annui all’organista.
Dispose inoltre che tali frutti si spendino per li bisogni, ornamento, et grandezza della Sagrestia di d.o Convento per servitio solo dell’altare grande, cioè in telette d’oro et d’argento, o, argenterie sode, secondo che in queste due cose parrà et piacerà alli Sig.ri Operai del Convento, et per loro partito verrà deliberato, a’ quali paramenti, o, argenterie, ordinò in luogo d’arme doversi mettere due Lettere consonanti, cioè DD: in memoria delli nomi del Testatore, e del d.o suo figliuolo.
Le disposizioni proseguono con l’elenco delle messe che dovevano essere periodicamente e in perpetuo celebrate in memoria dello stesso Domenico, della moglie Caterina e del figlio Dionisio. In particolar modo doveva essere celebrata una cerimonia fastosa ogni 4 agosto, giorno dedicato a S. Domenico, protettore del testatore: Et con obligo ancora, che il Convento, et Padri predetti, et altri come sopra di tempo in tempo chiamati alla sua heredità sieno tenuti, et obligati, et a così fare gli grava ciascuno anno in perpetuo come sopra, et da cominciare il primo anno dal giorno di sua morte di celebrare nella detta Chiesa della S.ma Nunziata la festa del Glorioso Padre San Domenico, et farne festa solenne nel giorno di detto Santo in questo modo cioè, che si faccia parato solenne, cominciando dal primo Vespro conforme al breviario Romano con l’Hebdomadario, et altri otto parati a Peviale con quattro viti, et dua Accoliti, et q.i sieno parati de’ più ricchi paramenti di Sagrestia, et che l’Altare maggiore, et quello della S.ma Nunziata sieno accesi sotto, et sopra con gli stessi ceri, et lumi, che si costuma nelli giorni pasquali, et con detto ordine di lumi, et parati, si canti la notte il Mattutino, la mattina Messa solenne in Musica da un M.ro et di poi il secondo Vespro, et tutto a spese sempre del Convento, et altri come sopra chiamati, et de’ frutti, et entrate dell’heredità. Ordinando di più che la Mattina di tal festa si faccia un desinare in pubblico Refettorio a tutti li frati, nel quale (oltre il pane, vino et pietanza ordinaria) si spenda Scudi dodici di moneta di lire 7 di sopra più, et che in tal mattina si chiami, et inviti un Prete del d.o Spedale degl’Innocenti, et di sua mano sottoscriva come sopra essersi celebrata tal festa, et se gli dia per tal conto lire quattro p.li ordinando di più, che doppo la morte di d.o Padre M.ro Dionisio in d.o giorno della d.a festa di San Domenico doppo il secondo Vespro vi si tenga pubblica Cattedra dal Reggente, che per il tempo sarà di Conclusioni stampate, al quale per sua fatica gli sieno pagati dall’entrate di d.a heredità Scudi dieci simili, al quale Padre Reggente, che per li tempi sarà d.o Testatore impone carico di celebrare il giorno seguente all’Altare privilegiato di detta Chiesa una messa per l’anima di d.o M.ro Dionisio.
Et in caso che d.a festa nel modo sopra.tto non si celebrasse, in tal caso gravò d.o Convento a pagare liberamente a d.o Spedale degl’Innocenti la somma di Scudi cento simili, et tante volte. quante mancassero di fare, et celebrare tal festa, tante volte incorrino in d.a pena et quella, et la d.a somma, et somme respettivamente seconda li casi d’inosservanza lasciò al detto Spedale
.

La celebrazione di tale festa era particolarmente fastosa, e i registri del convento ne descrivono ogni anno lo svolgimento.
Le pietanze erano così abbondanti, che con gli avanzi veniva offerto un pranzo ai musicisti intervenuti.
Per la dissertazione teologica, che doveva essere anche data alle stampe, ogni anno veniva prescelto un rinomato oratore. Tale era la magnificenza, che oltre cento anni dopo P. Giovanni Filippo Dreyer, maestro di cappella che aveva accumulato una fortuna nella sua precedente vita di cantante, musicista e compositore, dispose che ogni anno, in suffragio dell’anima sua, venisse celebrata una festa simile in tutto e per tutto a quella che si svolgeva ogni 4 agosto.

Con l’invasione napoleonica, la conseguente soppressione delle corporazioni religiose e l’allontanamento dei frati del convento, anche questa festa venne a morire, e con lei il ricordo del Cialdonaio.

Paolo Piccardi, dicembre 2021.